nulla è più importante di ciò che sembra insignificante

LA QUERELA DI UN POPOLO È UN ATTO D’AMORE

Quando un popolo querela sé stesso, ritrova la propria dignità. Non è protesta, ma consapevolezza: la libertà, senza responsabilità, è solo una forma di abbandono.

C’è un momento, nella storia dei popoli, in cui il silenzio diventa complicità.
Un momento in cui l’indignazione privata non basta più, e la parola deve tornare pubblica, condivisa, solenne. Non come grido, ma come atto civile.
La querela di un popolo nasce da qui: dal bisogno di fissare per iscritto la misura dell’abuso, la ferita della menzogna, il peso dell’indifferenza.
Non è una rivolta, è un documento morale. Una presa di posizione, collettiva e personale, contro tutto ciò che corrompe la verità, svuota la giustizia e riduce la dignità a dettaglio trascurabile.
Immaginiamo un popolo che si costituisce parte civile davanti alla storia.
Non davanti a un tribunale, ma davanti alla propria coscienza.
Un popolo che, stanco di essere spettatore, deposita una querela, simbolica, ma necessaria, contro chi tradisce il patto della convivenza civile: politici senza visione, media asserviti, poteri economici ciechi al bene comune.
Ma anche, e soprattutto, contro se stesso: contro la propria disattenzione, la propria rinuncia, la propria pigrizia morale.
Perché l’abuso nasce anche da un’assenza.
La menzogna trova spazio solo dove qualcuno smette di voler sapere.
La sopraffazione prospera dove la maggioranza, pur sapendo, preferisce non vedere.
La querela di un popolo è allora un atto di consapevolezza, non di vendetta.
Non chiede punizioni, ma risveglio.
Vuole ricordare che la giustizia non è un bene delegabile, ma un dovere condiviso.
Che la libertà non si conserva da sola, e che l’etica pubblica muore ogni volta che si accetta la scorciatoia del cinismo.
La querela di un popolo è, prima di tutto, una chiamata alla responsabilità.
Non si limita ad accusare i potenti, ma interroga la nostra resa.
Ci chiede conto del tempo in cui abbiamo taciuto, dei compromessi accettati, delle paure scambiate per prudenza.
È facile denunciare chi governa male; più difficile è riconoscere che quel potere, per esistere, ha bisogno della nostra passività.
Ogni abuso tollerato è un voto di fiducia all’abuso stesso.
Ogni menzogna lasciata correre è una firma sul contratto dell’inganno collettivo.
Riguarda il cittadino che chiude gli occhi per quieto vivere, il professionista che tace per convenienza, l’intellettuale che si adatta per non essere tagliato fuori.
Riguarda chi preferisce non esporsi, chi considera la decenza un lusso, chi si rifugia nella neutralità per paura di perdere qualcosa.
Ma la storia non assolve chi tace: semplicemente lo dimentica.

Viviamo in un tempo che premia la distanza.
La parola “popolo” è diventata sospetta, sostituita da termini più freddi: “target”, “pubblico”, “segmento”.
Eppure un popolo non è un insieme di dati, ma una comunità morale.
E quando questa comunità smette di reagire, quando non sa più dire “no” o “basta”, allora il potere diventa impunito e la menzogna si trasforma in normalità.
C’è una frase che attraversa ogni epoca: “Non mi riguarda.”
È la frase più pericolosa che esista, perché da essa nasce tutto ciò che distrugge la civiltà.
“Non mi riguarda” giustifica la censura, la corruzione, l’abuso, l’ingiustizia quotidiana.
“Non mi riguarda” è il seme da cui germogliano i totalitarismi, non importa se indossano uniformi o cravatte.
La querela di un popolo serve a ricordarci che invece tutto ci riguarda: se un giornalista viene messo a tacere, se un insegnante perde libertà di parola, se un artista non trova più spazio per dire la verità. Ci riguarda se la politica diventa mercato e se la cultura si piega all’intrattenimento di superficie.
Ci riguarda se la verità diventa opzionale, se il merito viene deriso, se la giustizia si riduce a scenografia per le telecamere.

Ma la querela non può limitarsi a puntare il dito: deve guardarsi allo specchio.
Deve riconoscere che il male più sottile non è quello imposto, ma quello accettato.
Che la vera corruzione non inizia nei palazzi, ma nelle coscienze.
Ogni volta che un popolo smette di credere nella propria voce, cede un frammento di libertà.
Ogni volta che pensa “tanto non cambierà nulla”, consegna il proprio destino all’inerzia.
Eppure, cambiare è possibile — ma solo se ciascuno si riappropria della propria parte di responsabilità.
Non quella generica del cittadino qualunque, ma quella precisa del testimone.
Perché ognuno di noi, in ogni gesto, è testimone del tempo in cui vive.
E il testimone, anche quando non può agire, può ricordare, resistere, rifiutare.
La querela di un popolo non chiede eroi, ma testimoni.
Non pretende martiri, ma cittadini consapevoli.
Chiede presenza, lucidità, scelta quotidiana di non restare indifferenti.
È una querela scritta non con la rabbia, ma con la compostezza di chi ha capito che la giustizia non è un favore da chiedere, ma un diritto da difendere insieme.
Quereliamo dunque non solo i poteri che abusano, ma le nostre stesse abitudini che li rendono forti.
Quereliamo la pigrizia morale, il disincanto, l’ironia sterile.
Quereliamo la paura di sembrare ingenui, l’arroganza di chi crede che tutto sia già scritto.
Quereliamo la rassegnazione, che è la più subdola delle tirannie.
E, querelandoci, riapriamo un dialogo con noi stessi.

Viviamo nell’epoca in cui la menzogna ha diritto di parola.
Dove ogni opinione vale quanto un fatto, e la verità diventa un’opzione tra le altre.
Ma la libertà, senza verità, è un simulacro vuoto, e un popolo che rinuncia alla verità rinuncia a se stesso.
La querela di un popolo è anche una denuncia contro la corruzione del linguaggio.
Contro chi usa le parole per confondere invece che chiarire, per dividere invece che unire.
Il linguaggio è il primo bene comune: quando si corrompe, crollano la fiducia, la memoria, la giustizia.
E quando le parole perdono significato, il potere perde vergogna.

In fondo, la querela di un popolo non è una protesta: è un atto d’amore.
Amore per la verità, per la giustizia, per la possibilità di essere migliori.
È la dichiarazione di chi non vuole più accontentarsi dell’inerzia, di chi ha capito che la libertà senza responsabilità non è libertà, ma abbandono.
Forse il giorno in cui torneremo a sentirci parte civile del nostro tempo, non spettatori, non vittime, ma cittadini, quel giorno la querela del popolo sarà finalmente accolta.

E non serviranno tribunali, perché la giustizia avrà ritrovato la sua voce: quella di tutti.

Condividi Articolo

Continua a leggere

Articoli simili

CECITÀ MORALE E MENZOGNA DEL POTERE

Un quadro può essere anche il ritratto dell’umanità preso in quel preciso momento ma un artista come Botticelli guarda anche all’infinito, forse è proprio questa

PERCHÈ QUESTA TRAGEDIA?

I tre carabinieri morti nell’esplosione del casolare in provincia di Verona sono vittime dei loro superiori ovvero di chi ha diretto l’operazione. Vi spiego come

DAVIDE E GOLIA DUEPUNTOZERO

C’è un filo rosso che attraversa la storia e arriva fino a noi: la lotta impari tra chi detiene il potere e chi osa contestarlo.