Non sono facile a commuovermi, ma di fronte alla poesia del film “Io capitano” di Matteo Garrone, non sono riuscito a far tacere le mie emozioni.
Ho visto negli occhi dei due ragazzini protagonisti tutto ciò che vedo negli occhi dei nostri ragazzi quando sorridono al pensiero di fare una marachella, quando partono per un’allegra avventura magari al seguito del gruppo scout, con la certezza che sono accompagnati, guidati, controllati; eppure, siamo in ansia.
In questo film la storia che si narra è quella di due ragazzini senegalesi che sognano il viaggio in Europa per realizzare i loro sogni, per mandare un aiuto economico alle famiglie, per scoprire il mondo (cosa lecita e legittima alla loro età); invece, i due ragazzini, tra incredulità per il trattamento a cui vengono sottoposti, per le sofferenze che sono costretti a subire, per il trovarsi a tu per tu col dolore vero, sono costretti semplicemente a diventare adulti in pochissimo tempo.
Ho immaginato uno qualunque dei nostri ragazzi, magari imbronciato perché non ha ancora l’ultimo modello di smatphone, che sorride sornione perché ha nascosto alla mamma di aver preso un brutto voto al compito; ho immaginato che facesse finta di andare a scuola e invece va a giocare a pallone e guardavo quel protagonista che faceva finta di andare a giocare a pallone per andare a lavorare di nascosto e mettere insieme i soldi per partire.
Mi sono vergognato per tutti coloro che mandano via in malo modo i lavavetri (qualche volta l’ho fatto anch’io), che nemmeno rispondono a chi chiede l’elemosina, che prendono in giro “il diverso”.
Sapevo, grazie a molti racconti, di tutto ciò che devono subire i migranti, stretti in una morsa tra mafie e delinquenza, ho visto personalmente sui corpi di molte persone i segni delle torture, qualche volta ho scorto nel fondo dei loro occhi i solchi profondi della malinconia, ma poi sono sempre riuscito a dimenticare.
Da oggi è diverso: qual film ha segnato uno spartiacque nel mio sentire e non posso più solo “immaginare” perché ora so, ora ho visto. E ho visto tutto il percorso e non solo un tratto di esso.
Da oggi è ancora più grande il disprezzo profondo che provo verso ogni razzista, la rabbia impotente per la loro mente ottusa e la loro insensibilità verso il dolore degli altri, ed è ancora più profondo il mio senso di accoglienza, di compassione, di rispetto per ogni migrante e per la sua forza.