nulla è più importante di ciò che sembra insignificante

DAVIDE E GOLIA DUEPUNTOZERO

C’è un filo rosso che attraversa la storia e arriva fino a noi: la lotta impari tra chi detiene il potere e chi osa contestarlo. Davide e Golia, due figure archetipiche, continuano a parlarci ben oltre la Bibbia. Non più con pietre e spade (o almeno non solo), ma con parole, microfoni, algoritmi, capacità di orientare opinioni.

La sproporzione, però, resta la stessa: da una parte i giganti che controllano media, politica, risorse economiche. Dall’altra chi cerca semplicemente di dire la propria, di fare domande, di non piegarsi all’adorazione del potente di turno.

Negli ultimi tempi, assistiamo a un fenomeno che dovrebbe inquietarci tutti: i potenti non vogliono più il contraddittorio. Si sottraggono alle conferenze stampa, evitano domande scomode, riducono al silenzio i giornalisti non allineati. Non cercano più il confronto, ma la scenografia. Vogliono intorno a sé solo volti compiacenti, parole morbide, domande già scritte.

È in atto una battaglia sulla libertà di parola. Non quella astratta e filosofica, ma quella concreta, quotidiana: la possibilità di fare domande senza censura, di criticare senza ritorsioni, di informare senza essere imbavagliati.

I potenti del nostro tempo – leader politici, grandi corporation, manager dei media – sembrano sempre meno disposti ad accettare il contraddittorio. Evitano le conferenze stampa, selezionano accuratamente i giornalisti ammessi, rispondono solo a domande già note, circondandosi di un coro compiacente. Il confronto pubblico, un tempo terreno vivo della democrazia, diventa sempre più un copione preordinato.

Quando qualcuno rompe lo schema, la reazione è brutale. Un conduttore televisivo con troppo seguito? Allontanato. Un opinionista che non si piega? Silenziato. Un giornalista che indaga oltre il consentito? Emarginato. Non importa se i programmi funzionano, se il pubblico li segue, se alimentano un dibattito necessario: per il potente conta soltanto che nessuno incrini la sua immagine levigata.

Ma una lezione è preziosa: i giganti non sono invincibili. Non lo erano allora, non lo sono oggi.

Questi episodi non riguardano solo un Paese o una parte politica. Dall’Europa agli Stati Uniti, dall’Asia al Medio Oriente, la strategia è sempre la stessa: ridurre lo spazio del dissenso, togliere ossigeno alle voci indipendenti, costruire una realtà fatta solo di applausi.

Non è un fenomeno nuovo: i regimi totalitari del Novecento ci hanno insegnato quanto la censura e il controllo dei media siano strumenti fondamentali per consolidare il potere. Hitler e Mussolini compresero benissimo che chi controlla la parola controlla le coscienze. Ma ciò che oggi inquieta è che simili logiche si insinuino anche dentro società che si definiscono democratiche.

La vicenda recente di un noto anchorman reintegrato dopo il suo allontanamento forzato, grazie alle proteste del pubblico e alle disdette di abbonamenti, è un segnale forte. Dimostra che i giganti, per quanto arroganti, non sono invincibili. Che Davide può ancora colpire il punto debole di Golia, se trova il coraggio di reagire e se non resta solo.

Il pubblico, oggi, non è più spettatore passivo. Ha a disposizione strumenti potenti: la rete, i social, la possibilità di organizzare campagne in poche ore, di esercitare pressioni economiche e reputazionali. Certo, questi stessi strumenti possono diventare armi di odio, manipolazione, fake news. Ma se usati con intelligenza e rigore, possono trasformarsi in una forma nuova di resistenza civile.

La storia ci mostra che la libertà di parola non è mai stata concessa gratuitamente. È sempre stata conquistata, difesa, pagata a caro prezzo. Dalla libertà di stampa ottenuta con le rivoluzioni borghesi del Settecento, alle battaglie dei dissidenti nei Paesi comunisti, fino alle lotte per i diritti civili negli Stati Uniti degli anni ’60: ogni passo avanti è stato frutto di sacrificio, coraggio e capacità di sfidare i giganti.

Oggi, però, rischiamo di dare questa libertà per scontata. Rischiamo di credere che sia un bene acquisito, immutabile, eterno. E invece non lo è. La libertà di parola è fragile: si erode lentamente, spesso senza rumore, sotto il peso di pressioni economiche, censure sottili, autocensure interiorizzate. Non serve il manganello per ridurla: basta il ricatto di una carriera, l’allontanamento da un programma, la minaccia di una querela.

Il vero pericolo non è solo il potente che imbavaglia. È il cittadino che si rassegna. È la comunità che accetta di guardare talk show addomesticati senza ribellarsi. È il pubblico che digerisce conferenze stampa senza domande, sorrisi senza sostanza, slogan ripetuti senza vergogna.

La neutralità, in questi casi, diventa complicità. Il silenzio diventa alleanza col gigante.

Eppure, la recente vittoria del pubblico – quel reintegro ottenuto non grazie a palazzi e istituzioni, ma grazie alla voce della gente – ci dice che un’alternativa esiste. Ci dice che quando i cittadini protestano, organizzano, non si piegano, allora il potere deve fare un passo indietro. Non sempre. Non ovunque. Ma abbastanza da ricordarci che il gigante non è invulnerabile.

Davide e Golia duepuntozero non è una favola lontana. È la fotografia del presente. Ognuno di noi è chiamato a decidere se stare dalla parte di chi lancia la pietra della verità o di chi, per paura o convenienza, applaude il gigante.

Non si tratta di fomentare odio o violenza. Al contrario. La vera forza di Davide sta nella sua capacità di opporsi con strumenti diversi, con coraggio civile, con fermezza pacifica. È questo il compito che ci spetta: difendere la libertà di parola non urlando più forte, ma continuando a parlare quando ci chiedono di tacere. Continuando a fare domande quando vorrebbero solo monologhi. Continuando a dissentire quando ci dicono che non conviene.

Il futuro della democrazia si gioca qui. Non nei palazzi, non nei comizi, ma nello spazio fragile della parola libera. Se rinunciamo a difenderla, tutto il resto crolla. Se accettiamo che venga ridotta, manipolata, sterilizzata, allora non resterà che un teatro di burattini. Ma se la custodiamo, se la esercitiamo, se ci indigniamo ogni volta che qualcuno cerca di sopprimerla, allora la storia continuerà a darci ragione.

Il popolo ha mezzi nuovi per farsi sentire. Usiamoli. Con intelligenza, con forza, con pace. In Italia e in ogni parte del mondo.

Perché, alla fine, la storia insegna che i giganti cadono sempre.

E che a scrivere il futuro non sono mai quelli che volevano il silenzio, ma quelli che hanno avuto il coraggio di parlare.

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