nulla è più importante di ciò che sembra insignificante

IL SENSO RELIGIOSO DELLE COSE

In un tempo che sembra aver smarrito ogni direzione, si è dissolto anche uno dei fili più antichi che legavano l’uomo alla propria esistenza: il senso religioso. Non inteso come appartenenza a un culto o ad una confessione, ma come tensione profonda verso il significato, come capacità di avvertire una dimensione più ampia e misteriosa dell’essere.

Religione, nella sua etimologia più nuda, significa religare: unire, tenere insieme, rammendare lo strappo tra ciò che è finito e ciò che ci sovrasta. In questo senso, essere religiosi non significa credere in Dio, ma riconoscere il limite, l’invisibile, l’incomprensibile e porre rimedio. È sentirsi parte, non centro. È provare rispetto per ciò che non si controlla, e proprio per questo merita ascolto.

Anche un laico o un agnostico, può essere profondamente religioso. Si può non avere fede e tuttavia inginocchiarsi in silenzio di fronte a un dolore condiviso, a un tramonto, a un’opera d’arte, a una musica, a un’umanità dolente. Non è superstizione. È consapevolezza della fragilità, è cura.

In un’epoca che confonde spesso religione e fanatismo, che trasforma la fede in identità da difendere o in strumento di potere, è urgente riaprire spazi per una riflessione più ampia. Non per restaurare dogmi, ma per coltivare domande. Il sacro non è solo nei templi o nei testi antichi. È nella giustizia, nell’empatia, nella dignità dell’altro. È nel volto di chi ama, nella mano che aiuta, nel dubbio che non si spegne. Un uomo che entra in una chiesa e si toglie il cappello. Una donna che si copre il capo in una sinagoga. Un turista che si toglie le scarpe prima di accedere a una moschea. Non è folklore, non è ipocrisia. È un gesto antico di rispetto. È religione nel senso più alto: riconoscere che esistono luoghi, simboli, storie che meritano silenzio, non per paura, ma per gratitudine.

Religione è anche questo: una postura dell’anima, una disciplina dell’ascolto, una grammatica del limite. È il contrario dell’arroganza. È il contrario della superficialità.

Viviamo in un mondo saturo di parole e vuoto di significati. Di slogan, di semplificazioni, di urgenze artificiali. Eppure qualcosa in noi resiste. Un bisogno disperato di senso. Una sete di mistero, di bellezza, di pace.

Religioso è chi si prende cura. Chi ascolta senza voler parlare. Chi costruisce ponti invece di scavare trincee. Chi non pretende di avere ragione, ma accetta di abitare la complessità. Chi si sente parte di una comunità più ampia: umana, naturale, interiore.

Forse la religione del futuro non avrà più luoghi consacrati, ma troverà spazio nella gentilezza, nel perdono, nella memoria, nell’arte. Potrà esistere dove c’è cura dell’altro, attenzione, ascolto.

Perché un mondo senza religione – intesa in questo modo – non è un mondo senza chiese o simboli. È un mondo senza mistero. Senza gratitudine. Senza speranza. E di speranza, oggi, siamo tutti profondamente affamati.

Condividi Articolo

Continua a leggere

Articoli simili

PROVE DI SOPRAFFAZIONE

C’è un momento, nella storia, in cui il silenzio diventa complicità. Un punto esatto, spesso ignorato, in cui la cronaca non è più soltanto cronaca,

SE QUESTO È ANCORA UN UOMO

Rileggere “Se questo è un uomo” oggi è come affacciarsi in uno specchio rotto: ogni frammento riflette un dolore che conosciamo fin troppo bene, ma

IL MIO INCONTRO CON CLAUDIA CARDINALE

Non ho alcuna foto con Claudia Cardinale, ma ho il ricordo di quell’unica volta che la incontrai e mi fa piacere raccontarlo. Nel gennaio 2017