nulla è più importante di ciò che sembra insignificante

IL MIO INCONTRO CON ANGELA LUCE

Tra i tanti ruoli che ho svolto nell’ambito dello spettacolo, c’è stato quello di addetto stampa per il Teatro Totò di Napoli. Un teatro che negli anni in cui le pubbliche relazioni erano curate da me, e cioè dal 2006 al 2012, aveva una programmazione quasi esclusivamente incentrata sulla comicità tipicamente napoletana.

Curare l’ufficio stampa di un teatro, significa affrontare un problema che è di eccessiva autostima: spesso gli artisti meno valgono e più credono di essere importanti e seguiti.

Ricordo che una volta, un appartenente ad un duo autodefinitosi comico, mi chiese come mai per il loro spettacolo, sul Mattino ci fosse solo un trafiletto e non un articolo, gli dissi: “Guarda domani sul Washington Post, magari lo trovi lì l’articolo”. Non mi rispose… Ero ormai abituata a districarmi tra le pretese di simili personaggi e il realismo pragmatico della stampa.

E poi successe che mi fu confermato dal direttore artistico una notizia che allo stesso tempo auspicavo e temevo: Angela Luce, il mito di Napoli nel mondo, sarebbe stata in scena al Teatro Totò con lo spettacolo “Totò, 110 e lode” col quale si commemorava il grandissimo attore in occasione dei centodieci anni dalla nascita; lo spettacolo avrebbe debuttato il 31 gennaio e sarebbe rimasto in cartellone per tre settimane, in modo da includere anche il 15 febbraio, giorno della sua nascita avvenuta nel 1898.

Auspicavo questa partecipazione perché Angela Luce è un’artista che ho sempre ammirato: ero andata ad assistere ad un suo concerto al Circolo Sottufficiali della Nato e, soprattutto, avevo partecipato a quello sugli spalti del Maschio Angioino quando, dopo aver cantato trenta canzoni davanti a un pubblico in visibilio e osannante, concluse la serata cantando “ʼA cartulina ʼe Napule” senza microfono! Un evento indimenticabile e indimenticato, e quindi, per me, incontrare un’artista di tale livello era veramente eccitante; nello stesso tempo lo temevo perché, mi dicevo, questi non sono così noti e pretendono chissà cosa dalla stampa, figuriamoci cosa pretenderà lei che è una vera “numero uno”!

Non avevo assolutamente previsto ciò che poi sarebbe effettivamente successo: mentre di solito ero costretta ad elemosinare ai giornalisti una qualche citazione, con lei in scena era la stampa che cercava me per avere un’intervista, un ingresso per la recensione, una ripresa televisiva e, ovviamente, fui contattata anche dalla Rai e da Mediaset.

E venne il giorno della conferenza stampa di presentazione dello spettacolo che si tenne nella Sala della Loggia al Maschio Angioino: erano presenti tutte le prime firme e tanti cameramen. Quando mi avvertirono che lei era arrivata in taxi, io andai a riceverla; per fare il lavoro di pubbliche relazioni con personaggi dello spettacolo, per definizione vanitosi e autoreferenziali, è necessario essere sempre un po’ ruffiani, fingere ammirazioni che non si provano affatto, esagerare con i complimenti senza farlo notare e questo, lo confesso, anch’io lo facevo. In quel caso non dovetti inventare nulla, appena uscì dall’auto mi venne spontaneo dirle una frase che mi sembrò originale e che invece, nel corso degli anni che sto vivendo con lei, ho sentito migliaia di altre volte detta da altri: “Signora, ma lei è sempre bella!”

“Grazie” mi rispose, “ma ci difendiamo solamente: gli anni passano”.

“Beh, noi non è che ci difendiamo bene; gli anni che sono passati su di me, per esempio, si vedono, ma lei è fantastica”, e sorrisi.

Poi, mentre le davo il rituale benvenuto e la ringraziavo per la sua presenza, l’accompagnai al tavolo della conferenza e mi allontanai.

Mi misi in disparte, in fondo alla sala e guardavo la folla presente, per un attimo mi sentii compiaciuta del lavoro svolto, ma poi, con molto realismo, mi resi conto che il merito della buona riuscita non era da ascrivere al mio lavoro, ma solo ed esclusivamente alla sua presenza.

A quel tavolo c’erano anche Gaetano Liguori, Direttore Artistico del Teatro Totò, qualcun altro dei partecipanti allo spettacolo e, se non ricordo male, qualche rappresentante dell’Associazione che aveva allestito negli spazi del teatro la mostra “Il baule di Totò”, mostra che sarebbe rimasta aperta al pubblico, fin dalla mattina, per tutta la durata della rappresentazione. Ognuno diceva la lezioncina che aveva imparato a memoria e prendeva la sua parte di applausi, ma era evidente che gli occhi di tutti erano puntati su di lei: bella e affascinante, comunicava attraverso quegli splendidi occhi che non sapevano fingere, tutte le sue emozioni.

Ad un certo punto, Liguori comunicò: “Ma voi ci pensate? Questa signora ha conosciuto Totò!”

E lei, col puntiglio di chi vuole precisare e che, poi avrei scoperto, è una prerogativa del suo carattere, intervenne diretta: “Veramente non è che l’ho solo conosciuto, con lui ho fatto tre film: “Totò, Fabrizi e i giovani d’oggi”, “Letto a tre piazze”, “Signori si nasce”.

E su quest’ultimo, immediatamente qualcuno ricordò il famoso bacio sui seni che Totò le diede in una scena del film. Risate, commenti, applausi dei presenti; ma lei, che quando decide di dire qualcosa non si ferma di fronte a nulla, si alzò in piedi e spiegò: “Scusate, ma a piace dire le cose come stanno, quindi lasciatemi dire. Dunque, il primo fu “Totò, Fabrizi e i giovani d’oggi”, avevo un ruolo molto piccolo: facevo la cassiera nel bar di Totò; poi feci “Letto a tre piazze” e lì avevo il ruolo di un’entraîneuse: ballavo e cantavo in un locale; poi “Signori si nasce” e ora vi racconto la scena del bacio sul decolleté”.

Qualcuno tra i presenti chiese a gran voce: “Ma c’era nel copione?”

E lei, infastidita: “Un momento, sto parlando! Ho detto “vi racconto”, cosa significa “vi racconto”? Aspetti che racconto!”, poi riprese il tono cortese, colloquiale e disponibile e si dispose a spiegare come si fosse svolta la scena. Immediatamente i suoi occhi diventarono quelli del personaggio: si trasformò in Fedele, la ragazza ingenua, ignorante, distratta e un po’ annoiata che faceva la fantesca in casa di Pio degli Ulivi, interpretato da Peppino De Filippo e recitò: “Suonano alla porta, io vado ad aprire ed entra Totò (il cui personaggio era Ottone degli Ulivi, fratello di Pio – n.d.r.) tutto vestito a lutto, aveva persino il fazzoletto da lutto con cui si asciugava le lacrime, e disse che era morta la moglie. Allora io mi avvicinai, feci un inchino (e mimò l’inchino) e gli dissi “Condoglianze, signo’” e lui (e qui ridiventò Angela Luce), che con la faccia mi arrivava proprio all’altezza della scollatura, mi disse (e qui tornò ad essere Fedele) “Grazie figlia mia, pure a te” e (ritornando Angela Luce) muà-muà, mi azzeccò due baci proprio sul decolleté”.

Applausi e complimenti vennero spontanei, ma lei fermò tutti dicendo: “Un attimo, non ho finito. Io, quei baci non me li aspettavo perché nel copione la scena prevedeva i baci sulle guance” e aggiunse “e così ho risposto anche al signore che mi ha fatto la domanda prima, (e sorrise) e io, per non ridere, mi dovetti dare un pizzicotto sulla coscia. Allora andai dal regista, Mario Mattòli, e gli chiesi timidamente, sì, timidamente perché ero molto giovane e poi mi trovavo di fronte a dei mostri sacri del cinema, di rifare la scena perché “il Principe aveva sbagliato”. Non l’avessi mai detto! Mattòli mi disse: “Ma tu sei pazza? Quella scena rimarrà nella storia del cinema!” E aveva ragione perché così è stato.

Mi divertii molto al suo racconto e mai avrei immaginato che nel corso degli anni l’avrei ascoltato centinaia, forse migliaia di volte raccontato, sempre con grande disponibilità, a chiunque chiede conto di quella mitica scena.

Finita la conferenza stampa, rimasi ancora un po’ con lei insieme ad alcuni giornalisti con i quali, in maniera informale, ci trattenemmo a discutere di teatro, cinema, canzone e tutte le forme di spettacolo che lei aveva incontrato nel corso della sua vita. Fu così che impattai per la prima volta in un altro racconto che sarebbe diventato ricorrente in ogni intervista, in ogni incontro con chi le chiede di Eduardo De Filippo, in ogni occasione in cui si parla di teatro. Fu un giornalista a chiederle: “Angela, ci racconti il tuo incontro con Eduardo?”

Chi non vive queste cose non le può immaginare: quando lei racconta un episodio che ha una precisa collocazione temporale, si cala talmente nel tempo e nel luogo che le sue movenze ridiventano quelle del personaggio (proprio come raccontando l’episodio del bacio sui seni di Totò era ridiventata la fantesca Fedele) o quella della giovanissima Angela Luce che si presentava a Eduardo.

I suoi anni (in quel momento erano 70, ma è sempre così, ancora oggi) spariscono dal suo corpo; i suoi occhi, ancorché sempre bellissimi e comunicativi, riacquistano la luminosità, l’entusiasmo, lo stupore di una giovane donna; la sua espressione le disegna sul volto una vitalità che solo gli anni giovanili possono dare. Fatta, in pochi secondi e, ne sono certa, in maniera del tutto inconsapevole, la trasformazione, si alzò in piedi e raccontò:

“C’era un attore della compagnia di Eduardo che era cliente di mio padre. Mio padre era un artigiano: faceva scarpe su misura e fu insignito di medaglia d’oro da un’associazione di categoria per la sua straordinaria capacità di lavorare le pelli esotiche. Io avevo letto sul giornale che Eduardo cercava nuove reclute per la sua compagnia e ogni volta che questo attore, lo straordinario Ugo D’Alessio, veniva nel negozio di mio padre, io gli chiedevo di presentarmi al Direttore (sapevo che tutti lo chiamavano così) perché, dopo aver debuttato come cantante, volevo fare l’attrice. Fui talmente insistente che D’Alessio cedette e mi accompagnò al Teatro San Ferdinando. Ero bellissima, ed ero doppiamente bella perché, oltre ad essere bella di mio, avevo la bellezza dell’asino: la gioventù.

Arrivammo in teatro proprio mentre Eduardo dava i dieci minuti di pausa durante le prove e quindi, mentre noi attraversavamo il corridoio di accesso al palcoscenico, lui scostò una quinta e ce lo trovammo di fronte.

“Uè” disse sorpreso, “D’Ale’, e voi che ci fate qua?”

“Buongiorno Diretto’, e… sapete…, sono venuto perché questa ragazza, la figlia di un mio amico, si è messa in testa che vuole fare l’attrice”.

Immediatamente mi presentai: “Piacere Direttore, mi chiamo Angela Luce”.

Eduardo mi guardò: “Ah, volete fare l’attrice? E avete preparato qualcosa?”

“Sì Direttore, ho preparato due poesie, una di Salvatore Di Giacomo e una di Garcia Lorca” e, rivivendo quei momenti, pronunciò, com’era giusto che facesse, Garcia dando alla “c” il suono bleso. Tutti ridemmo, e lei:

“Ecco, come avete riso voi, rise anche lui e disse: caro D’Alessio, questa non ha bisogno di provino! Andate da Cardillo (l’Amministratore del teatro – n.d.r.), dite che vi mando io e fatele fare il contratto”.

Fui scritturata quel giorno stesso per 1.500 lire al giorno. Aprii l’anno teatrale con una piccola particina nella commedia “Na Santarella” e lo chiusi facendo la protagonista in due commedie: “Era zetella, ma…” e “O tuono ’e marzo”. E poi, …poi tanto, tanto altro ancora.”

Si era ormai fatta ora di pranzo; a quel punto, mi avvicinai a lei, la ringraziai ancora per la sua presenza e la sua disponibilità e la salutai dicendole: “Allora ci vediamo domani sera in teatro, verrò nel camerino e le porterò la rassegna stampa della conferenza”.

“Grazie” mi rispose sorridendo, “lei è veramente molto gentile. E complimenti per come ha organizzato il tutto”.

Il giorno dopo andai in edicola, presi i giornali e ritagliai tutti gli articoli che riguardavano la conferenza; nel pomeriggio andai in teatro e consegnai al botteghino l’elenco degli accrediti per l’assegnazione dei posti, sistemai sul tabellone che fungeva da bacheca i ritagli degli articoli, poi me ne ritornai a casa.

Ritornai in teatro la sera, un’ora prima dello spettacolo per andare a salutare in camerino la signora Luce e, come le avevo promesso, consegnarle la rassegna stampa della conferenza.

Quella sera, in quel camerino, ebbi il primo impatto con la vera Angela Luce, con la donna straordinaria che è, col suo essere sé stessa sempre e comunque.

Nacque lì, quella sera stessa, la nostra amicizia.

Un’amicizia vera, leale, di cui vado veramente fiera!

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