nulla è più importante di ciò che sembra insignificante

“Fuori Spartito” – Storie vere (ma incredibili) dal mondo del jazz – Episodio 2

Charlie Parker e il pollo che divenne leggenda

 

Charlie Parker, detto “Bird“, è uno di quei nomi che non hanno bisogno di spiegazioni. Bastano quattro lettere per evocare un mondo intero: il sax che taglia l’aria come una lama affilata, le notti nei club pieni di fumo e assoli che sembrano volare sopra le teste di chi ascolta, portando via tutto, anche il fiato.

 

Ma da dove viene quel soprannome, Bird, che nel tempo è diventato quasi come un titolo nobiliare nel mondo del jazz?

 

Ci sono varie versioni in circolazione, ma una in particolare è così assurda, così semplice e geniale da essere diventata la preferita da chi ama il Parker più umano, quello degli aneddoti di viaggio, delle improvvisazioni non solo musicali ma anche esistenziali.

 

Siamo nei primi anni Quaranta. Parker è in tour con la band di Jay McShann, uno dei suoi primi mentori. Il gruppo sta attraversando il Sud degli Stati Uniti, forse l’Oklahoma, forse il Missouri, a bordo di una vecchia automobile carica di strumenti, valigie e odore di sudore e sigarette. È estate, l’aria è densa, la strada polverosa. A un certo punto, un pollo selvatico attraversa la carreggiata all’improvviso. L’auto lo investe. La scena è talmente veloce che nessuno riesce a reagire.

 

Ma Charlie sì.

 

Chiede di fermare la macchina. Scende. E, con la calma di chi sta seguendo un rituale, raccoglie il pollo.

Non lo butta. Non lo ignora. Lo porta con sé. Lo mette in macchina, come se fosse uno strumento in più.

 

Ore dopo, arrivati nella città in cui dovevano suonare, Parker si dirige in un ristorante e chiede di cucinarlo. Lo stesso pollo investito, recuperato, ora diventa cena. E da quel momento, in ogni locale, ristorante o diner americano, Charlie Parker ordina sempre allo stesso modo:

 

Give me chicken, the way Bird likes it.

 

Non è solo una battuta. È l’inizio della leggenda. Il soprannome “Yardbird”, che significa “pollo da cortile”, comincia a circolare tra i musicisti. Col tempo verrà accorciato in “Bird”. E così sarà conosciuto per il resto della sua vita, e oltre.

 

Ma c’è di più. Perché quella storia, così assurda e quotidiana, dice qualcosa di profondo su Parker.

“Bird” non è solo un nome. È un modo di essere.

Libero, imprevedibile, fuori dagli schemi.

Proprio come un uccello in volo.

 

Charlie era così anche nella musica: prendeva elementi della tradizione, li investiva (proprio come il pollo!), li raccoglieva, li trasformava e ne faceva qualcosa di nuovo. Qualcosa di suo.

Come se ogni nota che suonava fosse passata per una strada sterrata, scossa, rotta e poi rigenerata in forma pura.

 

Il suo modo di suonare cambiò per sempre la storia del jazz. Il bebop nacque anche da lì: da quella voglia di non ripetere, di non accontentarsi, di cercare sempre qualcosa di più.

E allora anche il pollo, in fondo, è diventato parte di quella poetica.

Il “Bird style” non era solo musicale. Era esistenziale.

 

Forse è per questo che questo aneddoto è stato tramandato con tanta tenerezza dai musicisti dell’epoca.

Perché dentro c’è tutto: la fame vera, quella da musicista in tour, e la fame simbolica, quella di chi non si ferma mai, di chi vede nel banale un’occasione per trasformare tutto in storia.

 

E nel caso di Parker, anche un pollo morto può diventare leggenda.

E un soprannome, un’icona immortale.

 

Testo di A.V.O.

 

 

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