L’alba di un nuovo inizio, a volte, passa anche attraverso il buio del lutto. Con Moon Beams, Bill Evans rientra in studio dopo la perdita devastante di Scott LaFaro e lo fa con un’intensità silenziosa che, oggi come allora, disarma e consola.
Ci sono dischi che sembrano nati da una necessità più che da un progetto. Moon Beams è uno di questi. Pubblicato originariamente nel 1962 dalla Riverside Records e oggi riproposto in una curata ristampa dalla Craft Recordings, questo album segna il ritorno in studio di Bill Evans dopo mesi di silenzio e dolore. Non è solo il primo disco inciso con il contrabbassista Chuck Israels, ma è anche il primo passo di un uomo che, dopo aver perso un compagno di musica e di vita come Scott LaFaro, cerca con pudore una strada per continuare a suonare.
Nel luglio del 1961, a soli 24 anni, LaFaro muore tragicamente in un incidente d’auto, pochi giorni dopo le leggendarie registrazioni al Village Vanguard. Per Evans, quella perdita è una frattura profonda. La depressione si aggrava, la dipendenza dall’eroina si fa più invadente. L’alchimia perfetta del primo trio – completata da Paul Motian alla batteria – si spezza, lasciando spazio a un silenzio che sembra senza fine. Sarà proprio Israels, giovane e determinato, a convincere Evans a tornare in studio e a creare le fondamenta di quello che diventerà il “Second Trio”. Da quella chiamata sommessa nascono due album registrati nella primavera del 1962: Moon Beams e How My Heart Sings!, lo yin e lo yang di un ritorno. Il primo immerso nelle ombre delle ballad, il secondo più agile, più mosso. Ma è Moon Beams a custodire la materia emotiva più densa.
Fin dalle prime note di “Re: Person I Knew” – elegante anagramma del nome di Orrin Keepnews, storico produttore e patron della Riverside – si avverte un senso di sospensione. La musica non scorre: galleggia. Come se Evans, Israels e Motian stessero camminando su un pavimento d’aria. Non c’è urgenza, ma un incedere trattenuto, una risalita cauta, piena di non detti. Le note cadono una per una, come gocce che scandiscono un tempo interiore. Il trio si ascolta, si aspetta, si accompagna. La batteria di Motian resta filigranata, quasi fantasma. Israels si muove con grazia sobria, rispettosa.
Evans sceglie un repertorio che riflette lo stato d’animo di quel momento: lirico, melanconico, notturno. “Polka Dots and Moonbeams” è un sogno raccontato con dita leggere, un viaggio evocativo con Israels che intessa linee eleganti, mentre Motian accarezza i timpani con pennellate soffuse. “I Fall in Love Too Easily” sembra più una resa che una dichiarazione d’amore: una confessione appena sussurrata. Ma è con “Very Early” che il disco trova forse il suo punto più alto. Un originale del pianista, scritto in gioventù, il brano è un invito al ritorno. È il primo giorno dopo il buio, un’alba ancora incerta ma possibile. La melodia, al tempo stesso semplice e cangiante, pare girare su sé stessa cercando una direzione. È una delle composizioni più belle e commoventi di Evans, e il fatto che venga incisa proprio in questo disco le conferisce un valore quasi simbolico.
Due anni dopo Sunday at the Village Vanguard, questo album rappresenta un punto di svolta. La forza di Moon Beams sta nella sua fragilità e Israels e Motian sono portatori di una delicatezza che permette a Evans di accettarla. È un disco che non cerca di impressionare, non alza mai la voce, non si concede alla retorica. È uno spazio dove le emozioni non sono scolpite, ma evocate. Dove ogni pausa vale quanto una nota, e ogni sfumatura contiene un mondo. Per questo, Moon Beams resta uno dei dischi più intimi e consolatori dell’intero panorama jazz. Ogni ascolto è un invito a fermarsi, per uno o più minuti, e sentire che il vuoto tra le note è tanto importante quanto la nota stessa.
La registrazione, curata come sempre da Keepnews e ristampata oggi con un mastering che restituisce aria e dettaglio, esalta questa dimensione intima. Quasi settant’anni dopo, questo disco conserva intatto il suo potere. Non solo musicale, ma umano. Perché ci ricorda che anche la bellezza può nascere dal lutto, che anche il silenzio può essere trasformato in canto, e che, a volte, suonare significa semplicemente riuscire a respirare di nuovo.
La ristampa 2025 firmata Craft Recordings sotto la collana Original Jazz Classics è un’opera di restauro filologico: vinile 180 g pressato da RTI, mastering all-analogico da nastri stereo originali curato da Kevin Gray, tip-on jacket fedele all’originale. Il risultato è un palco sonoro corposo e silenzioso: il pianoforte emerge con arrotondamenti definiti, il contrabbasso si espande con presenza leggermente reticolare, la batteria si insinua senza forzature.
———————————————————————————————————
Titolo: Moon Beams
Artista: Bill Evans Trio
Etichetta: Craft Recordings – Original Jazz Classics Series
Data di pubblicazione originale: luglio 1962
Ristampa data: 30 maggio 2025
Formati: Vinile 180 g, Digitale Hi-Res
Durata: 39 minuti circa
Produzione originale: Orrin Keepnews
Registrazione: maggio-giugno 1962, Sound Makers Studio (NYC)
Mix e mastering: Kevin Gray da nastri originali (mastering analogico)
Fotografia/Artwork: contenuto in tip-on jacket; copertina originale con Nico
Audio: analogico stereo (vinile) / digitale
Formazione:
Bill Evans – pianoforte
Chuck Israels – contrabbasso
Paul Motian – batteria
Tracklist:
- Re: Person I Knew
- Polka Dots and Moonbeams
- I Fall in Love Too Easily
- Stairway to the Stars
- If You Could See Me Now
- It Might As Well Be Spring
- In Love in Vain
- Very Early